Morso di cane e risarcimento del danno: PaganiniBellini.it

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Premessa: la responsabilità per fatto illecito

Il principio del neminem laedere (o dell’alterum non laedere) trova esplicito riconoscimento nel disposto dell’art. 2043 c.c. a mente del quale: “Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno“.

I presupposti della responsabilità da fatto illecito sono:

una condotta umana attiva o omissiva illecita;
un danno ingiusto;
la riferibilità eziologica dell’evento dannoso al fatto (c.d. nesso di causalità);
l’elemento soggettivo del dolo o della colpa in capo al soggetto che ha determinato il danno.

In assenza di una definizione legislativa, quanto all’elemento soggettivo, occorre fare riferimento all’art. 42 c.p. che definisce il dolo quale intenzione e volontà della condotta e dell’evento e la colpa quale quale violazione di una regola cautelare generica (prudenza, diligenza, perizia) o specifica, prevista o prevedibile, nonchè evitabile.

A differenza dell’ordinamento penale, per l’integrazione dell’illecito civile è – di regola – irrilevante che sussista dolo o colpa (è quindi sufficiente la colpa per l’insorgere di responsabilità per fatto illecito), potendo semmai la presenza del dolo incidere unicamente sulla quantificazione del risarcimento.

La colpa deve essere dimostrata dalla parte che richiede il risarcimento del danno, tuttavia esistono delle eccezioni a questa regola: vi sono ipotesi di colpevolezza attenuata (si è soliti parlare di “responsabilità aggravata“), in cui la sussistenza dell’elemento soggettivo è oggetto di presunzione; nonchè ipotesi di vera e propria responsabilità oggettiva, in cui non occorre la dimostrazione della colpa altrui (si risponde del danno a prescindere dalla colpa).

La responsabilità per danno cagionato da animali

La responsabilità per danno cagionato da animali (si pensi al classico caso del morso di cane) è disciplinata dall’art. 2052 c.c., secondo il quale chi è proprietario di un animale o lo utilizza risponde del danno causato da questo anche se smarrito o fuggito, salva la prova del caso fortuito.

La natura giuridica della suddetta fattispecie di responsabilità per fatto illecito risulta controversa.

Secondo l’indirizzo che la riconduce ad un’ipotesi di responsabilità aggravata, sul proprietario dell’animale grava una presunzione di responsabilità, fondata non sulla colpa ma sulla presunta violazione di un dovere di custodia dilegente dell’animale, di conseguenza egli risponde dei danni causati ai terzi.

Il secondo indirizzo qualifica tale ipotesi di responsabilità come responsabilità oggettiva, fondata sul mero rapporto di fatto intercorrente con l’animale.

A seconda dell’adesione all’una o all’altra impostazione, diverge l’onere probatorio incombente sul proprietario o su chi abbia in uso l’animale per andare esente da responsabilità per il danno cagionato.

Per i sostenitori della teoria della responsabilità aggravata, l’evento idoneo ad escluderla è quello da ritenere insuperabile in relazione alle regole di diligenza adeguate al caso concreto.

Di contro, in applicazione della tesi della responsabilità oggettiva, il proprietario dell’animale (o colui che se ne serva autonomamente) è esente da responsabilità ex art. 2052 c.c. qualora fornisca la prova di un fattore esterno eccezionale, imprevedibile e inevitabile, che può consistere anche nel fatto di un terzo o nella colpa del danneggiato. Sul danneggiato, invece, grava comunque l’onere di fornire la prova dell’esistenza del rapporto eziologico tra l’animale e l’evento lesivo.

La traslazione della responsabilità in capo all'utilizzatore dell'animale

Quanto alla peculiare ipotesi del fatto dannoso provocato dall’animale nel tempo in cui sia affidato ad un soggetto diverso dal proprietario – si pensi al dog-sitter – occorre precisare che l’utilizzo da parte del legislatore della locuzione “si serve” per qualificare il soggetto tenuto a rispondere del danno in luogo del proprietario permette di restringere l’applicazione della norma ai soli casi in cui colui che abbia la disponibilità dell’animale sia titolare di un diritto di godimento sullo stesso.

Affinchè la responsabilità possa essere traslata dal proprietario al terzo utilizzatore dell’animale, è necessario che il primo si spogli temporaneamente della facoltà di uso dell’animale a favore del secondo (ad es. noleggio) e che quest’ultimo utilizzi l’animale al fine di soddisfare un proprio ed autonomo interesse rispetto a quello del proprietario, in conformità alla sua naturale destinazione e soltanto per il tempo in cui lo ha in uso. Tale ipotesi non può ritenersi integrata in ipotesi di affidamento a terzi dell’animale per ragioni di cura, governo o mantenimento. Infine, non possono qualificarsi come responsabili coloro che si servono dell’animale per svolgere mansioni inerenti alla propria attività, ove tale incarico non gli sia stato affidato direttamente dal proprietario dell’animale.

Tanto premesso, individuato il soggetto responsabile e tenuto al risarcimento del danno, occorre rammentare che se trattasi di risarcimento inferiore ad € 50.000,00, l’azione giudiziale deve necessariamente essere preceduta dall’invito a stipulare una convenzione di negoziazione assistita. Sul punto si rimanda all’articolo in cui ci siamo occupati del procedimento di negoziazione assistita.

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